“Arancia Meccanica”, La recensione.
In scena al Teatro Eliseo fino al 15 maggio 2016.
“Arancia Meccanica” è proposto all’Eliseo nell’adattamento teatrale previsto da Anthony Burgess, l’autore del noto romanzo del ’62, (poi diventato il capolavoro cinematografico di Kubrick del 1971). Il regista del lavoro teatrale Gabriele Russo ha saputo concretizzare le visioni di Alex, il leader dei drughi, una feroce gang della periferia urbana.
Nella scatola nera della vita (questa la scenografia di Roberto Crea) scorre il mondo osservato dal drugo, che hanno il loro slang.. Vede lui ed i suoi degni compagni ben vestiti, curati; le case sono – per quelli come lui – un mondo alla rovescia in cui irrompere e devastare. Ma tutto è ovattato e amplificato dal “latte” (la droga) che i drughi si procurano (rappresentata sul palcoscenico come grande mammelle che scendono dal cielo).
Nel delirio di onnipotenza i teppisti “giocano” con la vita della gente; uccidono, picchiano, derubano, stuprano. Le composizioni di Beethoven, distorte e devastate da Morgan (che ha curato le musiche della rappresentazione) sono la colonna sonora di crimini orribili, ma che tali non sembrano ai giocoso drugo.
Questo è l’antefatto per raccontare la lobotomizzazione del delinquente, in una società repressiva, che “cura” chi esce dalle regole, costringendolo con le alchimie chimiche e l’ elettroshock a non compiere atti violenti. Unica voce contraria quella della chiesa che grida che si nega il libero arbitrio, facendo diventare l’uomo un robot, una sorta di arancia meccanica.
Come si vede il tema è di grande attualità, ancor oggi, in cui in molte metropoli c’è da fronteggiare la violenza delle gang e c’è sempre chi chiede interventi “terapeutici” e braccialetti elettronici.
Visionari e dirompenti l’allestimento, le scenografie e le musiche. Bravo tutto il cast, con gli attori (Daniele Russo, Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, Bruno Tramice) molto bravi ad alternarsi in più ruoli e capaci di muoversi al di fuori dei consueti canoni, per una rappresentazione sconvolgente e innovativa.
Certo il testo si presta a sperimentazione e messa in scena inusuale. Il regista e gli attori però sono stati bravi a innovare e, allo stesso tempo, a mantenere intatta la forza di questo testo che denuncia la violenza dei singoli ma anche quella della società che non sa integrare ma solo dividere e reprimere.
Brunella Brienza