Al teatro Argot il mondo patafisico di Luca Avagliano

“Niente Panico”. La recensione della prima del 20 settembre.
In scena al Teatro Argot di Roma fino al 25 settembre 2016

Niente Panico“, il nuovo spumeggiante spettacolo di Luca Avagliano, quest’estate ha riscosso grande successo di pubblico e di critica al Festival di Troia, nota kermesse pugliese. La rappresentazione dell’artista di Prato giunge ora a Roma Trastevere nell’accogliente Teatro Argot,  dove gli apprezzamenti sono stati confermati. Nella prima romana, in un teatro che registra il tutto esaurito, prolungati e calorosi applausi per i divertentissimi “vaneggiamenti di un patafisico involontario” (come recita  il sottotitolo).

Avagliano dimostra con questo spettacolo di essere un seguace della patafisica, la corrente artistico-filosofica nata, a cavallo tra 800 e 900,  dallo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry e definita come “la scienza delle soluzioni immaginarie”. Scienza che non si occupa del generale ma piuttosto del particolare, non delle regole ma piuttosto delle eccezioni. La patafisica, partendo dalla fisica e passando dalla metafisica, è stata vista come l’ultimo anello che racchiude e contiene tutte le filosofie possibili.

Nella rappresentazione patafisica al Teatro Argot, mentre il pubblico entra in sala il protagonista in pigiama è già in scena, accovacciato su una poltrona retrò. L’ambientazione è vintage… si vedono vecchie lampade ed un giradischi anni ’60/70 al fianco del quale c’è la copertina del vecchio 45 giri del 1976  della sigla dello sceneggiato televisivo “Sandokan” degli Oliver Onions.

E’ come se il tempo si fosse fermato per il protagonista. Ha paura di vivere, di uscire dal guscio, di emergere da quel luogo fuori dal tempo.

L’uomo abbatte subito la quarta parete tra lui ed il pubblico a cui si rivolge, avviando il monologo che è un flusso di pensieri in libertà (un “flusso di incoscienza” lo ha definito). Forse alla base dell’autoescludersi  del protagonista, delle sue paure, c’è una forte delusione amorosa (avvenuta sei anni prima ma che lui sente ancora attuale).

Spettacolo scorrevole, esilarante, in cui emerge tutta la bravura e la padronanza del palcoscenico di Avagliano che, vorticosamente: recita poesie con voce impostata; dà vita a più personaggi che dialogano tra di loro cambiando voce con maestria; fa emergere le sue fragilità;, recita proverbi, lezioni di catechismo, di scienza di equitazione; balla, suona la chitarrina; canta  (l’orecchiabile canzoncina  che ha lo stesso nome dello spettacolo con farfalle nello stomaco e bisogno di Xanax; poi il brano “Filumè” scritto da Totò, di cui ricordiamo la memorabile interpretazione di Nino Taranto, qui musicata da Michele Maione).

La vulnerabilità del personaggio è prorompente ed ha vis comica. Sembra quasi di assistere ad  una seduta psicanalitica quella che l’uomo in pigiama effettua in palcoscenico. In perenne disequilibrio.

Claudio Costantino

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