“Parole, parole, parole”. La recensione della prima del 27 settembre.
In scena al Teatro Sala Umberto fino al 9 ottobre 2016
Avete presente l’immagine della persona della security che viene proiettata nelle agenzie di banca? Il vigilante osserva e controlla l’interno dell’agenzia; i clienti e gli addetti agli sportelli vedono lui e quell’immagine a monitor dà sicurezza.
“Parole, Parole, Parole” – con un titolo che si richiama ad un classico della canzone italiana di Mina e Alberto Lupo del 1972 – racconta la storia di un bancario ex balbuziente (Matteo Vacca) che si innamora della vigilante (Carlotta Proietti), che vede tutti in giorni in video; di cui conosce il volto ma non la voce. Il testo è di Adriano Bennicelli, la regia di Gigi Proietti.
Una storia d’amore a cui mancano le parole – con lui ex balbuziente ma che si inceppa spesso e lei presenza muta – che è incantevole. La vicenda – raccontata in modo minimal (la scenografia di Fabiana Di Marco, è costituita solo da immagini proiettate su un velo di tulle , qualche sedia ed una scrivania) – si basa tutto sulla bravura dei due protagonisti che, in realtà, parlano tanto, hanno un bisogno disperato di parole, parole, parole.
Commedia divertente e poetica con due personaggi a cui manca la parola ma intimamente logorroici. “La parola – scrive Proietti nelle note di regia – sono il terminale sonoro dell’anima, della mente e dei sentimenti”.
E di “parole” se ne dicono tante in palcoscenico… versi della grande poesia (quella di Dante, Pascoli, D’Annunzio, ecc.) ma anche della “piccola” poesia (delle canzoni che sono anch’esse significative nella nostra vita).
Efficace la regia di Gigi Proietti che sa far emergere, tra tante parole e silenzi, l’interiorità dei due personaggi, il loro bisogno d’amore, la loro voglia di evadere dalla routine, il loro vivere quella storia sentimentale come due fidanzatini di Peynet.
Brunella Brienza