“L’anatra all’arancia”. La recensione della prima del 13 dicembre 2016
In scena al Teatro Eliseo fino all’8 gennaio 2017
“L’anatra all’Arancia” – al Teatro Eliseo fino all’ 8 gennaio 2017 – prende l’avvio con una partita a scacchi tra i coniugi, Gilberto (Luca Barbareschi) e Lisa (Chiara Noschese). Ed in fondo, tutta la commedia, non è altro che una partita a scacchi con l’obiettivo di Gilberto di salvare il proprio matrimonio e riconquistare la moglie che lo tradisce con il grezzo magnate russo Volodia (Gianluca Gobbi).
La famosa commedia di William Douglas Home – nella versione francese di Marc Gilbert Savajon, tradotta e diretta in questa edizione italiana da Luca Barbareschi – è molto differente dal noto film del 1975 di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi e Monica Vitti come interpreti. Barbareschi non propone un remake del film ma una rilettura personale, carica di simbolismi. Quell’anatra apposta a lato sul palcoscenico è immobile ed enigmatica, così come il cechoviano cameriere che si aggira in scena (Ernesto Mahieux), che darebbe l’anima per la padrona. E poi c’è la seducente segretaria Chanel (Margherita Laterza) anche lei così diversa dallo svampito personaggio della pellicola degli anni ’70 interpretato da Barbara Bouchet.
La trama a grandi linee resta la stessa della pellicola. Lui per riconquistare la moglie invita a casa l’amante di lei e la propria segretaria, con il triplice obiettivo di mettere alla berlina il russo,di farlo desistere e, allo stesso tempo, di far ingelosire la consorte, corteggiando la bella e disponibile assistente.
I personaggi secondari (il russo, la segretaria, il cameriere) dovrebbero restare sullo sfondo della simbolica partita a scacchi che giocano i coniugi. Sono pedine mosse dai due ma che – grazie alla indiscussa bravura degli interpreti – arricchiscono e vitalizzano l’azione, facendo divertire la platea.
Frizzanti i due protagonisti, con Barbareschi sornione e riflessivo (che fa finta di essere mezzo alcolizzato ma che in realtà è pronto a dare scacco al re) ed un’entusiasmante Noschese, che appare meno ingenua del personaggio interpretato da Monica Vitti e più scaltra.
Tutta l’azione si svolge nel salotto di casa: un’elegante scena astratta di Tommaso Ferraresi, in cui tre porte ed una grande finestra sono solo cornici vuote. Non c’è la tavola apparecchiata con il famoso piatto da servire, ma solo il cameriere che rincorre l’anatra che non si vede ma si comprende che non ha nessuna intenzione di finire in pentola.
Raffinatezza, eleganza, gioco strategico, sensualità: sono questi gli ingredienti di una commedia di successo. L’amore un po’ annoiato è anche sottolineato dal leitmotiv “E la chiamano estate”: la nota canzone di Bruno Martino, è proposta in tante riletture di interpreti e jazzisti (ma non nella versione originale). È un brano apparentemente semplice con la melodia che si muove in un registro limitato; ma è una finta semplicità che nasconde una notevole sofisticazione nel rapporto tra melodia ed armonia. La stessa cosa si può dire di questa commedia fintamente semplice nel registro narrativo, nella scenografia, nella colonna sonora (con questa canzone degli anni Sessanta) ma altamente sofisticata.
Da sottolineare il puntuale e meticoloso impegno a 360 gradi di Luca Barbareschi che, come sempre, parte dalla rilettura del testo originario, per definire poi una regia accorta ed originale, e quindi per giungere ad una commedia che è un ingranaggio perfetto, caratterizzato dalla straordinaria interpretazione, personale e dell’ottimo cast.
Brunella Brienza