I ricordi dell’imperatrice Adriana

Memorie di Adriana. La recensione.
In scena al Teatro Quirino fino al 25 febbraio 2018

Adriana Asti si racconta in palcoscenico in terza persona, attraverso un alter ego, che ripercorre la sua vita e ribadisce: “Lo so perché io c’ero”. Un racconto così che può essere distaccato, impersonale, ma sempre pregnante di vitalità.

Memorie di Adriana” – in scena al Teatro Quirino, fino al 25 febbraio 2018 –  vede l’adattamento teatrale e la regia di Andrée Ruth Shammah; il testo è di Adriana stessa ed è tratto dal libro “Ricordare e dimenticare, conversazione tra Adriana Asti e René De Ceccatty”; il titolo dello spettacolo teatrale, efficacemente, si rifà a quello del romanzo di Marguerite Yourcenar sull’imperatore Adriano.

Con un escamotage di metateatro, che dà suspense all’apertura del sipario, l’attrice si nega alla ribalta, rimane nel camerino, dove – a tratti – la si ode  cantare. Allora in palcoscenico appare uno sconfortato direttore di scena (Pietro Micci), il suo alter ego  (Adriana Asi) e poi uno spettatore, suo ammiratore (Andrea Narsi), che sa quasi tutto  e possiede anche le foto senza veli dell’attrice; in scena anche il tecnico (Paolo Rioda) e la sarta (Antonella Fuiano), anche loro in attesa della star che non si presenta.

E così l’imperatrice Adriana dà notizie di sé, unendo ai ricordi, canzoni (canta accompagnata al pianoforte da Giuseppe Di Benedetto), fotografie e filmati. Racconta come, all’inizio, non sia stata presa dal sacro fuoco dell’arte, non avesse attitudini particolari e passioni per le tavole del palcoscenico.

Ha iniziato per caso, ma gli esordi  sono da far tremare i polsi: nel 1951 nella parte della serva Mary Warren in “Il crogiuolo” con la regia Luchino Visconti;  l’anno dopo un contratto per l’intera stagione al Piccolo di Milano, diretta da Giorgio Strehler con un personaggio (la dama Lady Mary) in “Elisabetta d’Inghilterra”, ed altre opere tutte di successo. Poi ancora prima attrice giovane nella compagnia di Lilla Brignone.

Era una ragazza timida, che si sentiva inadeguata e fuori posto sotto i riflettori, ma che ha all’attivo una lunga e prestigiosissima carriera che ll’ha vista diretta da grandi registi, del calibro di Pasolini, Patroni Griffi, Bertolucci (che ha poi sposato in prime nozze), Bunuel. Ricorda anche il film che fece scandalo, diretto da Susan Sontag, “Una tarantola dalla pelle calda” (Duett för kannibaler), a sottolineare il suo essere sempre libera ed anticonvenzionale.

Paradossalmente Adriana Asti parla di sé per dimenticare, per sbarazzarsi dei ricordi. Non c’è nostalgia: le due autobiografie pubblicate (la seconda è “Un futuro infinito”) e la pièce poi servono proprio per lasciarsi il passato alle spalle e guardare avanti.

«Mi accontentavo – annota nel suo ultimo libro parlando degli esordi – di truccarmi, di avere un camerino e di stare tra le quinte». Ancora oggi lei si sente fuori posto e vorrebbe restare defilata, ma con leggerezza, soavità, senza veli e reticenze si rivela totalmente al suo pubblico.

Claudio Costantino

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