“Shenzhen significa inferno”. La recensione della prima del 26 novembre 2015.
In scena al Teatro Brancaccino fino al 29 novembre.
Shenzen è le fiorente città industriale della Cina balzata agli onori della cronaca, negli anni passati, per i trattamenti disumani operati da una grossa azienda che produceva componenti elettronici per gli smartphone occidentali, con un’ondata di suicidi tra i dipendenti. Da questi fatti reali ha tratto spunto Stefano Massini che ha scritto e diretto “Shenzhen significa inferno”; è portato in scena – al Teatro Brancaccino di Roma dal 26 al 29 novembre 2015 – dalla brava e veemente Luisa Cattaneo.
Massini è senz’altro uno dei drammaturghi contemporanei più interessanti, con testi che affondano nel sociale e nel degrado; di recente ha assunto la consulenza artistica del Piccolo di Milano, subentrando al compianto Luca Ronconi.
Cattaneo interpreta la parte della selezionatrice di personale ed indossa una divisa cinese però di colore bianco; a ricordarci una Cina che ha “sbiancato” il suo comunismo e punta su business, produttività e sfruttamento del lavoro.
In scena quattro sedie numerate che si immagina siano occupate da operai. Il testo rappresentato non è un monologo ma un confronto serrato con gli lavoratori. Si mettono alla prova le loro competenze; si azzera o si rilancia l’autostima con una notevole pressione psicologica. Una pressione che assume le connotazioni di una vera e propria tortura mentale, che annienta le volontà in una fabbrica che è una specie di “grande fratello” che tutto sa, che incute paura e chiede sottomissione assoluta.
Molte le tematiche affrontate, come quelle sul ruolo dell’operaio specializzato rispetto a chi non ha abilità particolari, sul confronto generazionale tra l’operaia giovane, dinamica e l’anziano lavoratore con esperienza pluriennale.
Un testo di grande attualità oggi che, anche nei paesi occidentali (e nel nostro) le tutele dei lavoratori tendono ad affievolirsi.
Luisa Cattaneo si rivela un’ottima interprete in un lavoro che la vede da sola in palcoscenico, per più di un’ora, ad interrogare gli (invisibili) operai nell’inferno di Shenzhen.
Brunella Brienza