“Esilio”, la recensione
Teatro Brancaccino, 3 maggio 2018
“Esilio”, al Teatro Brancaccino il 3 maggio. Questa commedia (o tragedia?) è un bignami di teatro, di filosofia, di vita. Mariano Dammacco e Serena Balivo invertono i sessi, invertono i registri.
Lui è una lei, un’anima in pena.
Lei è un lui: il signor G di Giorgio Gaber, il Taracchi di Raimondo Vianello, un Borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, un uomo qualunque (il qualunquismo), l’uomo di mezza età di Marcello Marchesi, il Fantozzi di Paolo Villaggio, lo Charlot di Charlie Chaplin…
Dammacco (che è anche autore del testo) si richiama al teatro delle maschere pirandelliane, alla commedia dell’arte, alla filosofia di Leibniz delle monadi. Il personaggio agisce su una sorta di casa-zattera tra le onde del mare e, ci sembra, un richiamo esplicito a “Allegria di naufragi” di Ungaretti. Ma anche – perché no? – a “Il Purgatorio” dantesco, dove le anime espiano.
Nel racconto lui ha perso il lavoro e quindi il suo ruolo nella società; di conseguenza non ha più la sua identità e si interroga. Un flusso di coscienza.
Quello proposto è teatro di parola ma anche teatro di mimica, teatro di burattini. Teatro dell’assurdo e satira; teatro del grottesco e dramma umano.
Rappresentazione pluripremiata, osannata, che guadagna al Teatro Brancaccino applausi prolungati, senza fine.
Dammacco con “Esilio” ha confermato un percorso (autoriale e attoriale) unico. Serena Balivo, dal canto suo, è semplicemente eccezionale.
Claudio Costantino