“7 anni”. La recensione della prima del 13 novembre 2019
In scena al Teatro della Cometa fino a 1 dicembre.
“7 años” è un interessante film spagnolo per Netflix il cui soggetto è di Josè Cabeza e Julia Fontana. Il testo tradotto da Enrico Ianniello e diretto da Francesco Frangipane è diventato “7 anni”, una commedia psicologica di grande intensità, la cui partecipata prima al Teatro della Cometa, ha davvero conquistato la platea.
Mentre il pubblico si accomoda in sala l’attore Giorgio Marchesi è già in scena. Si trova in una sala riunione di ufficio privato dove sono collocati anche un calcio balilla ed una poltrona relax.
Un segnale questo di come il regista abbia pensato la commedia. Il tutto si svolge – spiega Frangipane nelle note di regia – “in un’idea di messa in scena, ormai imprescindibile per me, che vuole continuare a tenere il pubblico dentro la scena e accompagnare lo spettatore dentro la storia stessa, fino a condividere le emozioni dei personaggi e farsi carico delle domande e dei dilemmi che travolgono i protagonisti”.
La storia è quella di quattro soci fondatori, che hanno gestito un po’ “allegramente” la loro società di successo. Hanno la Guardia di Finanza alle calcagna per copiosi fondi neri portati illegalmente all’estero e rischiano 7 anni di galera. Con l’aiuto di un mediatore vogliono individuare chi di loro dovrà addossarsi tutta la colpa per salvare gli altri tre e l’azienda.
Parte da qui una commedia psicologica interamente affidata alle capacità attoriali dei cinque protagonisti (i quattro soci ed il mediatore), tutti volti conosciuti di fiction tv e cinema (Giorgio Marchesi, Massimiliano Vado, Pierpaolo De Mejo, Serena Iansiti, Arcangelo Iannace). Gli attori in scena tengono alta la tensione e sanno esprimere tutte le sfaccettature dell’animo.
Quella posta in essere è una partita a scacchi spietata che, mossa dopo mossa, fa macerie; ciò perché l’individuazione della vittima sacrificale non è indolore. I sentimenti che legano il gruppo, l’amicizia, l’amore sono disintegrati nel confronto che si svolge – davanti ad un arbitro che non arbitra – senza “rete di sicurezza”, senza falsi pudori.
I protagonisti passano dal riso alla rissa, dall’ affetto all’odio, anche perché la posta in gioco è alta.
Il mediatore non è un giudice, non decide ma aiuta a decidere. La soluzione la devono trovare i quattro, volontariamente, e proprio per questo il confronto si fa acceso, scava nell’intimo, e porta a galla sentimenti e risentimenti reconditi, che irrompono e rompono la forza del gruppo. In ogni caso nulla sarà come prima.
Claudio Costantino
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