“Tango del calcio di rigore”. La recensione della prima del 15 gennaio 2020.
In scena al Teatro Brancaccio fino al 19 gennaio.
Al Teatro Brancaccio va in scena la tanghedia. Tra commedia, tango e tragedia, un suggestivo spettacolo di teatro-canzone che ricorda la finale del campionato mondiale dello scandalo del 25 giugno 1978 all’Estadio Monumental di Buenos Aires, tra Argentina e Olanda. Il mondo del calcio di fatto avallò il regime militare dell’Argentina del generale-dittatore Jorge Videla, le violenze e le torture, i desaparecidos, non ascoltando le voci dolenti delle madri di Plaza de Mayo.
L’autore e regista Giorgio Gallione per la rappresentazione di “Tango del calcio di rigore”, ha scelto tre grandi attori con cui ha lavorato in passato e che ora, per la prima volta, si sono ritrovati insieme in palcoscenico: Neri Marcorè, Ugo Dighero, Rosanna Naddeo, affiancati dai giovani Fabrizio Costella e Alessandro Pizzuto. Un gruppo affiatato che, con recitazione e canto, ricordano il pallone dei soprusi della finale maledetta con anche il faccendiere massonico Licio Gelli in tribuna.
E poi altre tragedie-tanghedie che hanno riguardato: Alvaro Ortega, l’arbitro colombiano che commise “l’errore” di annullare un goal all’Indipendente Medellin, la squadra dei trafficanti di cocaina; Francisco Valdes, capitano del Cile, costretto a segnare a porta vuota dai militari di Pinochet; la “guerra del football”, combattuta nel 1969, tra Salvador e Honduras.
Quindi il racconto dello scrittore argentino Osvaldo Soriano – che dà il titolo alla rappresentazione – dell’episodio del rigore più lungo della storia del calcio nella partita del 1958 della squadretta dell’Estrella Polar contro il Deportivo Belgrano; una sorta di storia di Davide sconfitto da Golia, che qui è rappresentato dall’anziano portiere dell’Estrella Polar, Gato Diaz.
Calcio e potere in tante storie intervallate da canzoni che ci hanno sempre commosso e che qui ritornano ad assumere il loro carattere di denuncia, come la bellissima “Todo cambia”, scritta dal cileno Julio Numhauser in piena dittatura cilena di Pinochet e conosciutissima nella versione dell’argentina Mercedes Sosa, che iniziò a cantarla durante il suo esilio europeo, lontana dall’Argentina del regime militare.
Non bisogna aver paura a denunciare perché “todo cambia”…
Brunella Brienza