La regista Valeria Freiberg e la sua “Compagnia Teatro A” non si sono mai fermati, nonostante la pandemia. Certo gli spettacoli, in produzione per la stagione teatrale 2020/21, non si sono potuti portare in palcoscenio, ma l’attività didattica e formativa, che è il core business, è proseguita tenacemente, anche se a distanza e in modalità telematica. Così come l’impegno educativo, portando – grazie alle piattaforme di comunicazione online – il teatro nelle case dei giovani ed anche dei più piccoli. Non è mancata l’attenzione sull’attualità, con una bella iniziativa di rilettura teatrale delle riflessioni degli operatori sanitari in prima linea nell’arginare l’epidemia da Covid-19.
Con Valeria parliamo di “form-azione” (come viene definita sul vivace sito Internet della Compagnia), ovvero dell’impegno attivo a coinvolgere i più giovani. “Abbiamo – ci dice la regista – uno strumento fantastico come il teatro, dobbiamo saper trasmettere dal vivo la grande cultura umana fatta di conoscenza, esperienza emotiva, sentimenti”.
Valeria Freiberg, di origine e formazione russa, ama profondamente Cechov. E proprio “Il Gabbiano” – simbolo di libertà per eccellenza – può simboleggiare i suoi sforzi ed il suo impegno.
Il teatro, ci fa capire la regista, è resilienza. Bisogna saper resistere e rigenerarsi.
Valeria, secondo lei che valore ha oggi per i ragazzi il teatro?
Oggi più che mai il Teatro ha un valore straordinario per i giovani.
Come diceva Amleto: “Il secolo è fuori di sesto”. Viviamo in un mondo in rapida trasformazione: non capiamo davvero cosa stia succedendo con l’istituzione della famiglia. Non sappiamo più chi siano gli adolescenti di oggi o quale sia il loro domani. Non capiamo più cosa insegnare ai bambini o cosa fare con la virtualizzazione della vita. Ci domandiamo come comunicare con persone abituate a trascorrere più tempo nello spazio virtuale che in quello reale. Possiamo parlare quanto vogliamo di valori tradizionali, ma il fatto è che il mondo di oggi, nella forma in cui esisteva e che noi conoscevamo, non c’è più. Stanno cambiando le fondamenta stesse della nostra esistenza abituale. Anche perché la società globale di oggi ci fornisce un accesso illimitato alle informazioni via Internet, ma allo stesso tempo non fornisce alcuna guida; cosa, infatti, cercare sulle pagine web? Non verrà mai in mente di un ragazzo di cercare qualcosa su Salinger o leggere qualcosa di A. Checov se non ha mai sentito nominare questi nomi. Lo stesso accade con i sentimenti, con l’empatia. Insomma, poiché abbiamo uno strumento fantastico come il teatro dobbiamo saper trasmettere dal vivo la grande cultura umana fatta di conoscenza, esperienza emotiva, sentimenti e così via…
Sono convinta che i giovani (bambini, i ragazzi) debbano crescere culturalmente confrontandosi con il teatro complesso, la musica complessa e la letteratura complessa… Sono pronti ad ascoltare, capire e partecipare… Ma hanno bisogno di un moderatore, qualcuno con cui dialogare. E chi, se non un teatro, può affrontare un compito così importante?
Quali sono le strategie adatte per avvicinare i giovani (dai bambini ai ragazzi) al teatro?
Sarò sintetica e forse banale, ma l’unica vera strategia per avvicinare i giovani al teatro è ricominciare a fare gli spettacoli di qualità. In generale quando si parla di strategie o di innovazione viene spontaneo chiedersi: “Ma siamo ancora in grado di fare gli spettacoli come li facevano ad esempio Strehler, Ronconi, Costa?” Allora di quale innovazione o strategia si può parlare?
D’altro canto non si può pensare solo di “conservare il passato”, dimenticando che il teatro si sviluppa e si trasforma insieme alla vita: l’estetica cambia inevitabilmente. Quindi, se da una parte dobbiamo scoprire nuovi territori e spazi, dall’altra è vitale “ricuperare” la filosofia, l’idea del mestiere che abbiamo praticamente perso lungo la strada, ma che rende il teatro arte unica ed irrepetibile. Il Teatro è un’occupazione complessa o meglio – citando Oscar Wilde – è un “uso perfetto di un mezzo imperfetto” e quindi la verità del sentimento e la profondità dell’animo sono i ferri del mestiere di un regista, di un attore che non fanno altro che raccontare le storie umane.
Penso che l’unico modo per rimanere vitali sia interagire attivamente con i giovani. Senza appendere etichette… Il Teatro deve ricominciare ad ascoltare la cacofonia della vita.
Le istituzioni (penso a Stato, famiglia, scuola) quanto contribuiscono secondo lei alla formazione culturale degli adolescenti?
La presenza dello Stato è fondamentale. Se la formazione culturale dei giovani non fosse una priorità dello Stato, se non ci fossero politiche culturali a lungo termine, se non esistesse una reale collaborazione fra lo Stato ed i professionisti del settore, nessun contributo privato potrebbe proteggere il paese dalla devastazione culturale. Non tutte le famiglie, per diversi motivi, si possono permettere la cultura. E non si tratta solo della disponibilità economica (la povertà educativa è un problema trasversale socialmente parlando), ma di una visione e comprensione che la cultura non sia una perdita di tempo, ma un fattore fondamentale per la crescita personale, civile, intellettuale, lavorativa e sociale dei giovani.
Ha portato in scena diverse rassegne dedicate ai giovani (da Project Scuola a Teatro Letterario) che avvicinano i ragazzi alla grande letteratura… le proporrà anche per la stagione che verrà 2021/2022? Nel caso su che titoli sta lavorando la Compagnia Teatro A?
Senz’altro. Ogni regista ha i suoi temi, i suoi colori, le sue rime, che, in un modo o nell’altro, interpreta e ripete insistentemente, perché sono, in effetti, il motivo per cui continua a creare. Sono il motivo per cui si rivolge al pubblico, per cui cerca il dialogo con lo spettatore. Le rassegne di cui Lei mi chiede sono un contenitore perfetto, uno spazio perfetto in cui posso riflettere sui temi che mi interessano. Dunque, per ora voglio vedere come si trasformano, come cambiano forma permettendo però (come sempre aggiungerei) un dialogo aperto con i giovani. Mi spiego. Gli adolescenti hanno un desiderio incredibilmente intenso di confronto adulto e schietto, ma hanno anche uno scudo alzato, un mare di cinismo (il più delle volte finto) e grande fragilità emotiva. Hanno bisogno di un discorso “alla pari”, ma non semplificato. Penso che la tendenza alla semplificazione crei un falso senso di “appartenenza” e quindi di conseguenza, irritazione e distacco. Le rassegne che abbiamo portato avanti in questi anni avevano e hanno un obiettivo: creare un teatro per i giovani (bambini, adulti) complesso, contemporaneo, colto, sintetico, ironico ecc. perché ci sembra che nella vita moderna si pensa troppo alla semplificazione. Ci deve essere da qualche parte un centro in cui un bambino, un giovane possa ascolta più di tre parole messe in riga o possa confrontarsi con un’emotività umana, bei pensieri, grandi speranze…
Devo dire che le espressioni del tipo: “No, sono troppo piccoli non capiranno!” o “Basta che si divertono!” o “Ma è troppo complicato” in questi anni le abbiamo sentite pronunciare solo dagli adulti e mai dai ragazzi!
Per quel che riguarda la nuova stagione: i titoli sono davvero tanti, grazie anche all’esperienza web che abbiamo vissuto con grande divertimento in questi mesi. Ci sono anche diversi formati. Faccio un esempio, “L’Inizio” di A. Lifshitz e “L’Uragano” di A. Ostrovskij sono due spettacoli a cui tengo particolarmente… per il resto incrociamo le dita e speriamo che si possa procedere!
Ci racconta il progetto “Le fiabe della nostra infanzia” dedicato ai più piccoli? Come è nato?
A dicembre 2020 abbiamo deciso di regalare lo spettacolo Zoom “La Regina delle Nevi” ai nostri piccoli amici. Il successo è stato straordinario, i bambini erano entusiasti ecc., ma durante i saluti finali ho chiesto ai bambini se conoscessero già questa fiaba e con grande stupore ho scoperto che non la conosceva quasi nessuno. Rimasi sconvolta: non si può crescere senza le fiabe di H.C. Andersen!
Ho pensato che in un momento difficile come quello che stiamo attraversando incontrare i bambini per raccontare le fiabe fosse assolutamente necessario. Anche per ricreare il calore della comunità, per compensare – almeno in parte – la mancanza del teatro nelle loro vite.
La rassegna ha coinvolto praticamente tutto il territorio nazionale. Abbiamo avuto bambini romani, milanesi, napoletani, lucani, marchigiani… senza uscire di casa abbiamo fatto una tournée incredibile, facendo capire ai bambini che il teatro sa unire le persone… anche se si tratta di un’esperienza virtuale!
Brunella Brienza