Re Lear. La recensione della prima del 16 ottobre 2012
In scena al Teatro Sala Umberto fino al 28 ottobre.
Colpisce al primo impatto l’allestimento di Re Lear di Shakespeare, lo spettacolo che ha aperto la stagione del Teatro Quirino. Non è un caso infatti che il pubblico, entrando in sala, abbia già modo di osservare l’accurata scenografia grazie all’assenza del sipario chiuso e possa poi scrutare gli attori presenti perennemente sul fondo della scena.
Lo spettacolo vede Michele Placido nelle vesti di protagonista (è il Re Lear); l’artista ha curato anche la traduzione e l’adattamento (con Marica Gungui) ed ha firmato anche la regia dello spettacolo (con Francesco Manetti).
L’attore è abile nel rappresentare il suo Lear squarciato dai dubbi, dalle angosce che gli permetteranno di comprendere la falsità delle sue due figlie Gonerilla e Regana (a cui aveva lasciato il proprio regno) e di riscoprire il valore di quella figlia, Cordelia, che aveva ripudiato perché non l’aveva falsamente adulato ma che ha per lui vero affetto.
Un grande Placido ma è ottima pure la prova degli attori del cast: Margherita di Rauso (Gonerill), Linda Gennari (Regan), Federica Vincenti (Cordelia), Gigi Angelillo (conte di Gloucester), Francesco Bonomo (Edgar figlio di Gloucester), Giulio Forges Davanzati (Edmund, fratellastro di Edgar), Brenno Placido ( il matto), Francesco Biscione (Kent), Alessandro Parise (Cornovaglia), Peppe Bisogno (Albani), Gerardo D’Angelo (Oswald), Giorgio Regali (re di Francia), Riccardo Morgante (Borgogna)..
Il vero e il falso, il potere e la sua perdita,il conflitto padre-figli, e ancora, la desolazione, il dolore, la follia… sono questi i temi portanti della tragedia shakespeariana, acuiti dall’ambientazione scenografica realizzata da Carmelo Giammello.
C’è una landa desolata in cui campeggia una gigantesca corona rovinata in terra su cui si vedono le figure di potenti (tra cui Hitler, Mussolini, Kennedy, Bin Laden) che sono finiti tutti tragicamente. Persone appartenenti a epoche più recenti, vicine nei nostri ricordi, come a voler indicare l’attualità della tragedia shakespeariana, la possibilità di ricontestualizzare il suo dramma distaccandosi da quello della Bretagna seicentesca.
La scenografia vede anche nella polvere pezzi di statua, il simbolo di un’aquila (reale), un quadro. Nel secondo tempo ci sono poi una serie di spade infisse nel terreno, come tante croci cimiteriali, a sottolineare la tragicità e il drammatico epilogo dei destini di quasi tutti i personaggi.
Nel dramma che si consuma si leva il canto soave di Cordelia: l’ Halleluyah scritta da Leonard Cohen, ma che ebbe un’interpretazione memorabile di Jeff Buckley, che si ispira ad una carol del ‘500. Un fremito religioso tra le macerie.
Claudio Costantino